I bambini di fronte alle calamità
Le calamità e il vissuto del bambino
Terremoti, nubifragi, frane, inondazioni, incendi, eruzioni vulcaniche, azioni di guerra, crollo di palazzi, stragi terroristiche e disastri di mezzi di trasporto hanno in comune alcuni aspetti: sono eventi di distruzione e di morte, alcuni provocati dall’uomo alcuni da forze incontrollabili della natura, che colpiscono direttamente e indirettamente molte persone. Sono in altre parole esempi di calamità o disastri.
Le calamità sono eventi che travalicano l’ambito dell’esperienza umana normale e che, dal punto di vista psicologico, sono abbastanza traumatici da indurre stress in chiunque, a prescindere dalle esperienze e dal funzionamento precedenti. È facile immaginare che essere travolti da un evento di questo tipo sia un’esperienza che mette a durissima prova le nostre capacità di adattamento e la nostra salute psicologica.html/body/p[3]
Cosa significa per un bambino essere coinvolto in un disastro? È possibile indicare alcune esperienze che tendono a essere comuni nei bambini più direttamente coinvolti in una calamità. Innanzitutto si tratta di un’esperienza paurosa. Si percepisce un grande pericolo incombente di fronte al quale anche gli adulti sembrano impotenti. Anche i punti di riferimento adulti – quelli che in situazioni normali rassicurano il bambino e sono per lui un modello di reazioni emozionali e comportamentali – possono lasciar trasparire impotenza, terrore, panico, disperazione. Il bambino percepisce così immediatamente che ci si trova di fronte a un evento ineluttabile e potenzialmente annichilente.
Il fatto di subire direttamente ferite o di vedere cadaveri, persone bruciate, mutilate o sfigurate, schiacciate, trafitte, sepolte, in preda a dolori lancinanti, o comunque in preda a forze malefiche a cui non possono opporsi e che agiscono su di loro come su oggetti privi di valore, aggiunge allo sbigottimento e al sentimento di angoscia e terrore, un senso di orrore e impotenza, quest’ultimo alimentato anche dalla visione degli effetti materiali del disastro sugli oggetti. Anche gli oggetti più grandi, solidi
e pesanti possono essere spazzati via in un istante. Per tutta la durata dell’evento e nelle ore successive il bambino percepisce un grande disordine intorno a sé. Può perdere provvisoriamente o definitivamente persone, luoghi e oggetti di riferimento – distrutti, smarriti, disintegrati o resi irriconoscibili – sentendosi immediatamente confuso, isolato, vulnerabile, in pericolo di vita.
In poche ore, il bambino sopravvissuto a un disastro può assistere a molte delle scene peggiori che la mente umana possa immaginare, esperienze che non avrebbe mai pensato di dover fare e che molti di noi non conosceranno mai nella loro vita. Scene di distruzione e morte, il fragore, le urla di paura, le richieste di aiuto, i lamenti, le notizie drammatiche, i suoni, gli odori o anche certe sensazioni tattili o gustative si accalcano nella mente del bambino dove, per la loro subitaneità, eccezionalità e minacciosità, si integrano male con le altre percezioni, i ricordi e lo stesso senso di identità. Le tracce mentali di questi episodi hanno un valore di sopravvivenza molto forte, in quanto sono associate a un grave pericolo; così tendono a fissarsi indelebilmente, insieme alle emozioni che le hanno accompagnate (principalmente ansia), e a tornare in mente, evocate da stimoli interiori o esterni, molte volte, anche per il resto della vita. A volte sono in se stesse un’esperienza così angosciante da divenire troppo dolorosa e allora possono essere escluse dalla coscienza.
Nei giorni successivi alla calamità il bambino deve a volte apprendere della morte di persone a lui care ed elaborarne il lutto. Poi, se ha subito una ferita o una menomazione, dovrà subirne le limitazioni sul piano dell’attività personale e delle relazioni sociali, che possono anche essere permanenti.
Inoltre, dovrà subire uno sconvolgimento delle sue abitudini quotidiane; la sua casa, il suo quartiere, la sua scuola, per esempio, possono essere distrutti in tutto o in parte oppure possono mancare molti servizi, risorse e beni utili o indispensabili. Non di rado ci vuole molto tempo per tornare a una situazione di normalità, e questa incertezza e instabilità può essere molto stressante. Nel frattempo bisogna adattarsi a sistemazioni di ripiego, magari rinunciando a soddisfare bisogni anche elementari (calore, cibo, acqua, sicurezza, ecc.).
Le terribili esperienze vissute o osservate possono creare un senso di vulnerabilità, pessimismo e sfiducia negli altri e nel futuro. L’esperienza del disastro può trasformare il significato delle relazioni e delle fonti di piacere su cui si faceva assegnamento prima dell’evento, e ora non interessano o non coinvolgono più come prima.
La famiglia può ostacolare o facilitare il difficile adattamento materiale ed emozionale alle nuove condizioni di vita. Gli effetti sulla famiglia possono essere diversi ed estremamente importanti per il bambino; per esempio possono esserci familiari morti o feriti, perdita dell’abitazione o di beni, trasferimenti, perdita del lavoro e disorganizzazione o disfunzione genitoriale. Sembra esistere una relazione reciproca fra lo stress da calamità della figura di accudimento e quella del bambino, per cui la risposta di stress di uno dei due amplifica quella dell’altro – ponendo sia il bambino che l’adulto in una condizione di rischio per problemi a più lungo termine. I bambini, possono essere psicologicamente incapaci di comprendere o integrare lo shock del disastro e si rivolgono ai genitori per ricevere da loro sicurezza e speranza, ma gli stessi adulti possono sentirsi a loro volta confusi, terrorizzati, soli o scoraggiati. I coniugi restano spesso divisi a causa dei danni alle infrastrutture della comunità.
Inoltre, nelle coppie in cui uno dei due partner è un operatore di soccorso, quest’ultimo può trovarsi in servizio e, pertanto, essere inaccessibile proprio nel momento in cui la coppia o la famiglia avrebbe bisogno di uno scambio di sostegno reciproco. I legami emozionali più forti possono essere interrotti o persino troncati dallo shock della calamità, e la ripresa richiede un aiuto terapeutico rivolto all’intera famiglia.
Lo stress da calamità
Fra i superstiti di un disastro, la stragrande maggioranza delle persone – a prescindere dal sesso, dall’età e dalle condizioni di salute precedenti – dà segni di stress, tanto che le reazioni di stress vengono considerate una reazione normale a eventi non normali.
Subito dopo l’evento e nel mese successivo c’è un’alta frequenza di reazioni di stress di grado lieve e moderato dovute al fatto che i superstiti e i soccorritori riconoscono bene il grave pericolo che la calamità ha comportato. Benché le reazioni di stress possano apparire “estreme” e possano provocare sofferenza, generalmente non diventano problemi cronici. La maggioranza delle persone si riprende pienamente da una reazione di stress di intensità moderata in un arco di tempo compreso fra 6 e 16 mesi.
La reazione individuale alla calamità dipende da molti fattori. Innanzitutto, come si è visto, la definizione di calamità è piuttosto generica e comprende molti eventi diversi, ognuno dei quali può avere un impatto emozionale e materiale differente per genere e gravità. Sembra, per esempio, che le calamità provocate dall’uomo (per es., gli attentati terroristici) abbiano in generale conseguenze emotive peggiori delle calamità naturali. Ma al di là di questo, le persone coinvolte nella stessa calamità si devono confrontare con aspetti diversi dello stesso evento, e ognuno reagisce alle situazioni
che ha vissuto personalmente in un modo che dipende dalle proprie caratteristiche individuali. In generale, la gravità della reazione di stress di un bambino dipende dai seguenti fattori:
- vicinanza alla zona dell’impatto;
- consapevolezza del disastro;
- avere subito lesioni fisiche o meno;
- grado di menomazione;
- avere visto o no ferite o decessi di familiari o amici;
- pericolo di vita reale o percepito;
- durata della disorganizzazione della sua vita;
- perdita di beni materiali personali o familiari;
- intensità dell’effetto di disorganizzazione familiare;
- reazioni genitoriali di stress all’evento e presenza di disturbi psicopatologici nei genitori;
- condizioni del bambino precedenti al disastro (esistenza di traumi passati; esistenza di problema psicopatologici personali; presenza di perdite o altri stressor importanti nell’ultimo anno);
- probabilità del ripetersi del disastro;
- livello di sostegno sociale disponibile;
- percezione/interpretazione delle cause.
In particolare, le persone che hanno probabilità di sviluppare sintomi di sofferenza psicologica intensa a causa di un disastro (cioè di stress peritraumatico estremo) sembrano essere quelle che in tale circostanza:
- si sono trovate in pericolo di vita o hanno perso improvvisamente qualcuno;
- hanno subito perdite estreme o la distruzione della loro casa, della loro vita normale o della loro comunità;
- sono state sottoposte a richieste emozionali intense da parte di superstiti sconvolti (è principalmente il caso di soccorritori o altre figure di aiuto);
- hanno già avuto problemi psichiatrici o coniugali/familiari in passato;
- hanno già subito perdite importanti (per es., perdita della persona amata nell’ultimo anno).
Chiaramente si può essere più o meno coinvolti in un disastro: a un estremo ci sono le persone che hanno subito lesioni personali e hanno perso uno o più familiari, amici e tutti i propri beni; all’altro estremo potremmo trovare persone che hanno appreso del disastro attraverso i mezzi di informazione o attraverso i racconti di persone coinvolte in modo più diretto e che ne subiscono le conseguenze concrete, materiali soltanto attraverso, per esempio, la sospensione di servizi pubblici e la modificazione delle normali routine quotidiane. Le persone esposte direttamente ai pericoli e al rischio di morire sono quelle che probabilmente subiranno le conseguenze più gravi.
La letteratura sul ruolo dell’esposizione a traumi è chiara: a prescindere dal tipo di stressor – combattimenti, abuso fisico, violenza sessuale o disastri naturali – la “dose” è un forte predittore di chi probabilmente ne risentirà maggiormente. Quanto maggiori sono la percezione del pericolo di morte e l’esposizione sensoriale – cioè quanto più si vedono immagini stressanti, si percepiscono odori stressanti, si odono suoni stressanti o si subiscono lesioni fisiche – tanto maggiore è la probabilità che si manifesti lo stress post-traumatico. Le vittime non sono le uniche persone a rischio. Anche i soccorritori – compreso il personale medico, ospedaliero e della forze di sicurezza, nonché i vigili del fuoco e gli agenti della protezione civile – possono essere direttamente o indirettamente traumatizzati. I familiari delle vittime, a loro volta, rischiano il cosiddetto “trauma vicario”; in altre parole, le relazioni con persone traumatizzate possono essere una fonte di forte sofferenza emozionale. Grazie all’efficienza dei moderni servizi di informazione televisiva, inoltre, oggi è aumentata notevolmente la possibilità di subire traumi attraverso le immagini dei disastri, dei morti, dei feriti e delle reazioni emotive di superstiti e soccorritori.
Reazioni di stress in bambini e adolescenti
In bambini e adolescenti possono comparire varie reazioni di stress, che, quando diventano troppo numerose, durature e gravi (nel senso che provocano una sofferenza intensa, o un menomazione sociale, scolastica o in altre aree importanti, oppure compromettono la capacità dell’individuo di eseguire compiti fondamentali come procurarsi l’aiuto di cui ha bisogno o mobilitare le risorse personali) possono soddisfare i criteri per la diagnosi psichiatrica di Disturbo acuto da stress/DAS o Disturbo post-traumatico da stress/DPTS; due condizioni psicopatologiche la cui principale differenza è la durata (meno di un mese la prima, più di un mese la seconda). La diagnosi di DAS o DPTS può essere applicata a persone di qualsiasi età che si siano dovute confrontare con eventi che hanno comportato ferite o rischio di morte per sé o per altri, o decesso di altre persone, e che in questa circostanza abbiano provato terrore, senso di impotenza o senso di orrore.
In seguito devono essere comparsi alcuni dei sintomi seguenti (i normali sintomi di stress post-traumatico):
- riduzione delle reazioni emozionali (sensazione soggettiva di insensibilità, distacco o assenza di reattività emozionale; riduzione marcata dell’interesse o della partecipazione ad attività significative; sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri; riduzione della gamma di affetti – per es., incapacità di provare sentimenti di amore);
- dissociazione (riduzione della consapevolezza dell’ambiente circostante – per es., rimanere storditi –; derealizzazione; depersonalizzazione; amnesia dissociativa – cioè incapacità di ricordare qualche aspetto importante del trauma);
- ripetizione dell’esperienza dell’evento (immagini, pensieri, sogni, illusioni o flashback persistenti – nei bambini piccoli si possono manifestare giochi ripetitivi, in cui vengono espressi temi o aspetti riguardanti il trauma, e sogni spaventosi senza un contenuto riconoscibile – o agire o sentirsi come se l’evento traumatico fossa ancora presente – nei bambini piccoli possono manifestarsi rappresentazioni ripetitive specifiche del trauma – oppure disagio all’esposizione a stimoli interni o esterni che richiamano l’evento traumatico);
- evitamento degli stimoli che evocano ricordi del trauma (pensieri, sensazioni, conversazioni, attività, luoghi o persone);
- aumento dell’attivazione fisiologica o dell’ansia (difficoltà di addormentamento o mantenimento del sonno; irritabilità o scoppi di collera; difficoltà di concentrazione; risposte di trasalimento esagerate; irrequietezza motoria).
Secondo Vernberg, in seguito ad una calamità, nei bambini si osservano cinque categorie di risposte primarie che derivano dalle perdite subite, dall’esposizione al trauma e dallo sconvolgimento della routine:
- aumento della dipendenza dagli adulti;
- incubi;
- regressione rispetto alle tappe evolutive raggiunte (per es., nel controllo sfinterico, nel linguaggio o nelle abilità scolastiche);
- paure specifiche che riguardano oggetti associati alla calamità; per esempio paura degli aeroplani giocattolo in seguito a un incidente aereo;
- rappresentazione della calamità attraverso il gioco post-traumatico e la ripetizione di certe azioni.
Questi sintomi durano di solito circa un mese dopo la calamità. Se persistono può essere opportuno inviare il bambino a un servizio di consulenza psicologica.
In generale, avendo capacità di fronteggiamento meno sviluppate, i bambini devono essere considerati fra i gruppi ad alto rischio di disturbi psicologici in seguito a una calamità. Quelli che sperimentano per la prima volta un evento traumatico prima di aver compiuto undici anni hanno una probabilità tripla di sviluppare sintomi psicologici importanti rispetto ai ragazzi adolescenti o a quelli più grandi. Nei casi di morte traumatica di un familiare, i bambini corrono un rischio più elevato di depressione, reazioni di stress e di minore riconoscimento del disagio da parte della famiglia.
Ma i bambini riescono a fronteggiare meglio l’evento traumatico se i genitori, gli amici, i familiari, gli insegnanti e gli altri adulti li sostengono e li aiutano gestire le loro esperienze. L’aiuto dovrebbe iniziare il più presto possibile dopo l’evento.
Come fornire un aiuto psicologico ai figli e agli alunni in caso di disastri
Il modo migliore per aiutare i bambini ad affrontare le conseguenze di un disastro dipende da molti fattori: dalla natura dell’evento (per esempio, se si tratta di un evento causato dall’uomo o di una calamità naturale), dal fatto che il pericolo sia cessato o no, dalla probabilità del suo ripetersi, dal tempo trascorso dall’inizio del disastro, dal grado di coinvolgimento del bambino e della sua famiglia nell’evento, dall’età e dalle condizioni psicologiche e sociali del bambino e dai segni di stress che dimostra dopo l’evento. Qui vengono forniti alcuni spunti di validità generale, trasversali rispetto alle possibili specificità situazionali.
Interventi nella fase di emergenza: durante e subito dopo il disastro
Nei momenti immediatamente successivi alla calamità, ovunque i bambini si trovino, è importante che i primi soccorritori:
- li proteggano da ulteriori danni e, per quanto possibile, da un’ulteriore esposizione a stimoli traumatici: in questa fase occorre ridurre al minimo la percezione di stimoli visivi, uditivi, olfattivi, gustativi e tattili potenzialmente traumatici, proteggere i bambini dai curiosi e dai media e impedire la visione di trasmissioni televisive che documentino nei particolari scene di morte e distruzione.
- Li guidino. Nelle situazioni di calamità è necessaria una guida gentile ma decisa. Quando è possibile, i bambini vanno tenuti lontano dai superstiti gravemente feriti e da quelli in preda a una sofferenza emozionale estrema, in modo da ridurre al minimo la paura e il contagio emotivo;
- Ristabiliscano i collegamenti del bambino con le persone e le risorse di cui ha bisogno e che possono ridurre il senso estremo di paura e isolamento. Il sostegno e la compassione, che siano espressi a parole o attraverso modalità non verbali, aiutano a ridurre la paura e a riconnettere il bambino a un senso di sicurezza. I bambini devono essere messi in contatto con i genitori o i parenti. Cercate di presentare informazioni precise a intervalli regolari e di fornire ai bambini le risorse adeguate disponibili. Quando è possibile, indirizzate i genitori verso risorse di aiuto psicologico per i bambini;
- Restino accanto a loro. I bambini in preda a sentimenti intensi di panico o disperazione possono trarre giovamento dalla presenza di un adulto. Restate con i bambini che si trovano in un momento di sofferenza acuta o trovate qualcuno che resti con loro finché il loro stato emotivo non migliora. Garantite la sicurezza del bambino.
Intervento a lungo termine: indicazioni generali per genitori e insegnanti
La maggioranza degli interventi destinati ad aiutare i bambini a adattarsi/riprendersi si basano sull’assunto secondo cui il sostegno, la guida, la strategie di gestione dello stress, l’informazione, la normalizzazione e la convalida sarebbero utili per la maggior parte dei bambini esposti a eventi traumatici, anche in assenza di una valutazione specifica dello stato psicologico dell’individuo.
Genitori e insegnanti possono avere un ruolo determinante nella ripresa dei loro figli e alunni. Quindi dovrebbero assumere la guida della situazione e diventare un modello di fronteggiamento positivo.
Tuttavia gli stessi adulti possono avere un bisogno particolare di informazioni, sostegno e risorse per riprendersi dallo stress e aiutare i più giovani a fare altrettanto.
Parlare dei fatti accaduti
I bambini, anche quando non sono rimasti coinvolti direttamente nel disastro, vogliono sapere cosa stia succedendo. L’adulto dovrebbe dare informazioni veritiere, senza sminuire la gravità di quanto sta accadendo. Le realtà difficili da accettare vanno comunque comunicate, sia pure nelle circostanze e con le modalità e le spiegazioni più opportune. In ogni caso i bambini colgono la drammaticità di una situazione dai volti, dal tono e dal contenuto delle conversazioni che sentono (anche alla TV). Nascondere loro la verità ottiene spesso l’effetto di confonderli e di far perdere loro fiducia. È bene ricordare che in seguito a un trauma i bambini possono perdere fiducia nella sicurezza del mondo; quindi è importante essere onesti per non rischiare di alimentare la loro diffidenza.
Inoltre, spesso soddisfano comunque il loro desiderio di sapere rivolgendosi ad altre fonti. Il momento migliore per parlare con loro è quando rivolgono una domanda diretta. Conviene prestare attenzione a non dare più informazioni sul disastro di quante siano in grado di comprendere e gestire.
È bene attenersi ai fatti, moderando l’espressione di emotività, senza fare troppe speculazioni sulle cause e le conseguenze. L’esigenza di informazioni realistiche e corrette deve essere controbilanciata dall’obiettivo di proteggere e rassicurare; in questo senso occorre evitare di fornire tutti quei particolari che potrebbero spaventare o addolorare inutilmente i bambini senza contribuire a dare una risposta migliore alle loro domande. A questo proposito è importante ribadire che l’esposizione a scene di distruzione, morti, feriti o altre persone che manifestano forti emozioni negative è da evitare o limitare il più possibile, anche in televisione.
Le spiegazioni dovrebbero essere adeguate all’età del bambino. Nel caso dei bambini ai primi anni delle scuole elementari le informazioni dovrebbero essere semplici, brevi e accompagnate da eventuali rassicurazioni efficaci. Alla fine delle elementari e all’inizio delle medie i bambini faranno più domande sulla loro reale sicurezza e su cosa stiano facendo gli adulti per proteggerli. Possono anche avere bisogno di un aiuto per distinguere la realtà dalla fantasia.
Alla fine delle medie e alle superiori i ragazzi hanno varie opinioni, anche molto forti, sulle cause e le eventuali responsabilità di ciò che è accaduto e sta accadendo. Possono discutere con gli adulti varie proposte concrete sulle possibili precauzioni per il futuro e soluzioni per la situazione presente e a volte vogliono fare qualcosa per aiutare a ristabilire la situazione.
Nel parlare di quanto è successo è utile eliminare le idee sbagliate di cui il bambino può essersi convinto per quanto riguarda la causa o le caratteristiche dell’evento traumatico, specialmente quelle che riguardano sensi di colpa, vergogna, imbarazzo o paura (per esempio, “Avrei dovuto riuscire a salvare mio fratello dall’incidente”; “Dio ha ucciso mia sorella perché era arrabbiato con lei”). Può anche capitare di trovarsi di fronte a domande per le quali non si conosce una risposta; in questo caso è bene ammetterlo apertamente.
Il lavoro sui sentimenti
A prescindere dall’età del bambino o del ragazzo, è utile sollecitare l’espressione dei suoi pensieri e sentimenti, facilitarla e mostrare accettazione, ascoltandola senza giudicarla apertamente. Se il bambino non parla facilmente di ciò che pensa o prova a proposito dell’evento, può essere facilitato sollecitandolo preliminarmente a raccontare cosa è successo in concreto (per es., cosa ha visto, udito, che odori ha sentito, cosa ha provato fisicamente). Va ricordato comunque che è utile concedergli tutto il tempo di cui ha bisogno per capire le cose e chiarire e sperimentare pienamente i suoi sentimenti.
Questo è proprio il nocciolo del processo di elaborazione delle difficili esperienze vissute a causa della calamità; occorre quindi non mettere loro fretta.
Altre volte accade invece che il bambino voglia raccontare più e più volte l’evento che lo ha traumatizzato; ciò fa parte del processo di ripresa ed è un’esigenza che è utile accogliere. Il racconto può avvenire anche attraverso il disegno, il gioco o la recita.
In ogni caso, di fronte all’espressione del vissuto del bambino, è bene cercare di comprenderlo prima di farsi capire. Spesso, quando il bambino rivela il suo vissuto, più che dare una risposta è importante ascoltare con empatia, rispetto e pazienza. Un messaggio che andrebbe trasmesso ai bambini è che possono avere i loro sentimenti personali, i quali possono essere diversi da quelli di altri bambini o di altre persone, e che questo va bene, è normale e prevedibile. Aiutateli a capire che in seguito a un evento traumatico tutti i sentimenti sono accettabili. Loro probabilmente proveranno una miriade di stati d’animo, fra cui vergogna, ira, collera, tristezza, colpa, dolore, isolamento, solitudine e paura.
Concedete loro di affliggersi per ciò che hanno perso. Sarebbe insensato pretendere da loro che non pensino quello che pensano o non provino quello che provano. Cercate poi di riconoscere i loro sentimenti e di tradurli in parole. Per esempio, se un bambino ha perso un amico in un disastro aereo, potreste dire “Sei triste a arrabbiato che il tuo amico è morto. Lo so che ti manca moltissimo”.
Oppure, se un bambino è oppresso dalla paura dopo un uragano, gli si può dire: “So che sei spaventato ma abbiamo un piano per proteggerci se arriva un altro uragano”. Aiutateli a imparare a usare parole che esprimano i loro sentimenti, come felice, triste, arrabbiato, furioso e spaventato. Assicuratevi bene che tali parole corrispondano ai loro sentimenti – e non ai vostri.
Lavoro di rassicurazione
Per contrastare il senso di insicurezza, la precarietà, il timore di altri disastri, della morte, di perdere le persone care e di trovarsi soli si possono fare molte cose. È prima di tutto essenziale fornire ai bambini tutte le informazioni e le spiegazioni di cui hanno bisogno per capire le circostanze presenti e future che li riguardano, affinché non si sentano confusi e abbandonati; per esempio, se un bambino è costretto a cambiare qualche aspetto delle sue abitudini, conviene spiegargliene la ragione e se e quando potrà tornare alle modalità di vita a lui familiari.
Buona parte dell’incertezza deriva dal pericolo della perdita di legami con le persone care. Da questo punto di vista conviene innanzitutto assicurare ai bambini spaventati che resterete con loro e ve ne prenderete cura (le rassicurazioni vanno ripetute spesso) e dimostrare chiaramente il proprio amore.
Poi, si possono creare e rafforzare i legami sociali, aumentando le occasioni di incontro e solidarietà: fare in modo che la famiglia stia unita il più possibile, aiutarli a convincersi che ci sono altre persone che vogliono loro bene – per esempio scrivendo, telefonando o andando a trovare familiari, amici e vicini di casa –, ristabilire i contatti con parenti meno stretti. È utile anche incoraggiarli a scambiare i loro disegni e i loro scritti con altre persone.
L’insicurezza può manifestarsi, come si è detto, con difficoltà connesse al sonno e al buio. In queste circostanze è utile avere un atteggiamento molto comprensivo verso i bambini e stare un po’ di più insieme quando per loro è ora di andare a letto, leggere loro una storia, massaggiare loro la schiena, ascoltare insieme della musica o parlare tranquillamente della giornata trascorsa. Lasciate pure una luce accesa quando dormono o permettetegli di venire nel vostro letto se ne sentono il bisogno; in momenti particolari come questi conviene ridurre in generale il proprio timore di viziare i bambini nonché i comportamenti educativi che ne derivano. A questo proposito, conviene anche essere comprensivi verso le loro difficoltà e avere un atteggiamento tollerante verso eventuali fenomeni regressivi (come tornare a bagnare il letto, pretendere di stare attaccati agli adulti e diventare in generale più dipendenti, perdere alcune abilità linguistiche o scolastiche già acquisite) e difficoltà temporanee nell’assolvimento delle proprie responsabilità (per es., peggioramento dell’attenzione e, conseguentemente, del rendimento scolastico).
Poiché inoltre i bambini si rivolgeranno agli adulti per avere indicazioni implicite ed esplicite su come reagire, anche sul piano emotivo, conviene evitare di mostrarsi sconvolti di fronte a loro.
Aspettarsi che i bambini non piangano o che si mostrino forti o coraggiosi è irrealistico, non è un atteggiamento che aiuta realmente i bambini a superare le loro paure e per di più rischia di far sentire solo il bambino quando ha più bisogno di essere protetto e consolato. Assicuratevi che i bambini capiscano che voi adulti cogliete la gravità della situazione. Dire “non piangere, tutto andrà bene” significa negare la gravità della situazione. Le loro paure vanno rispettate. È difficile che riescano a liberarsene con appelli al coraggio, alla forza o alla ragione. È più utile dire cose come “Lo so che ora hai paura di ...” e poi offrire aiuto e sostegno aggiungendo “Vediamo come possiamo fare in modo che questo sia meno spaventoso”.
Ristabilire il senso di controllo
Il carattere improvviso, imprevedibile e incontrollabile della calamità lascia un forte senso di impotenza e precarietà, di essere in balia di forze ingovernabili e malefiche. Questo stato è fonte di angoscia e disperazione. Si può provare a contrastarlo a casa e a scuola preparandosi ad affrontare più efficacemente eventualità simili (spesso i ragazzi sono anche in grado di proporre idee funzionali e creative), dandosi da fare per aiutare altri superstiti, affidando ruoli attivi nella gestione delle faccende familiari e delle attività scolastiche, concedendo ai bambini il permesso di programmare attività e fare scelte (per es., scegliere come vestirsi o cosa mangiare).
Anche l’ordine e la regolarità possono contribuire a ristabilire l’ordine delle cose e quindi la prevedibilità (che spesso è un presupposto della controllabilità). Pertanto è opportuno ritornare il prima possibile alle vecchie routine familiari e scolastiche oppure svilupparne di nuove.
La fiducia negli adulti, che a volte si riduce in seguito alle calamità (specialmente quelle provocate dall’uomo), può essere alimentata facendo e mantenendo promesse. Se i genitori devono allontanarsi per un po’, dovrebbero dire ai figli quando tornano o telefonano a casa, e fare in modo di telefonare o tornare con puntualità. La fiducia nel futuro può essere alimentata invece pianificando con loro attività che avverranno successivamente (per esempio, la settimana o il mese prossimo).
Il ruolo della scuola
Dopo un disastro, le scuole rappresentano un luogo naturale per il monitoraggio del comportamento di bambini e adolescenti, anche nei primi momenti dopo l’evento, quando i locali scolastici vengono spesso utilizzati per dare temporaneamente riparo alle famiglie. Gli insegnanti possono quindi impiegare modalità di relazione con l’alunno e attività didattiche specifiche designate a ridurre l’impatto emozionale negativo delle circostanze – anche con la collaborazione dei genitori e di esperti di salute mentale. (Alcuni autori hanno pubblicato una serie di attività didattiche per aiutare i bambini delle scuole elementari a adattarsi nel periodo successivo a una calamità). Possono inoltre identificare i bambini che sembrano risentire maggiormente dell’evento e indirizzarli verso servizi di psicologia. La scuola può essere un centro di diffusione di informazioni scritte (per es., sulle normali reazioni di stress in seguito a una calamità e sui modi per affrontarle) per genitori e alunni.
Secondo l’associazione nazionale degli psicologi scolastici americani, la scuola può:
1. assicurare ai bambini che si trovano al sicuro e che la scuola è sempre ben preparata a prendersi cura di tutti i bambini.
2. mantenere l’organizzazione e la stabilità all’interno della scuola. Sarebbe meglio tuttavia, non svolgere compiti e interrogazioni o progetti importanti nei giorni immediatamente successivi al disastro.
3. predisporre un piano speciale per i primi giorni di ritorno a scuola. Coinvolgere psicologi ed esperti di situazioni di crisi nella pianificazione della risposta della scuola.
4. fornire a insegnanti e genitori informazioni su cosa dire e cosa fare per i bambini a scuola e a casa.
5. fare in modo che gli insegnanti forniscano le informazioni direttamente ai loro alunni e che queste non vengano invece diffuse con annunci pubblici.
6. trovare psicologi disposti a parlare con gli alunni e i membri del personale scolastico eventualmente bisognosi di un aiuto particolare.
7. identificare gli alunni che hanno avuto di recente una tragedia personale o in stretto rapporto con le vittime o le loro famiglie; possono avere bisogno di più aiuto e di un atteggiamento particolarmente comprensivo.
8. conoscere le risorse del territorio per i bambini che possono avere bisogno di consulenza psicologica o psichiatrica. Gli psicologi scolastici possono essere molto utili nell’orientare le famiglie verso le risorse territoriali più adatte.
9. riservare tempo per discussioni e attività di classe calibrate sull’età degli alunni. Non aspettarsi che tutte le risposte possano provenire dai soli insegnanti. Possono proporre domande o temi di riflessione e guidare la discussione, ma non dominarla. Altre possibilità attività sono lavori artistici, produzione di testi, rappresentazioni e giochi fisici.
10. nel caso di atti terroristici o di guerra, prestare attenzione a non alimentare gli stereotipi su popoli e Paesi. I bambini possono generalizzare facilmente le affermazioni negative e sviluppare pregiudizi. Parlare di tolleranza e giustizia in contrapposizione alla vendetta. Bloccare immediatamente eventuali atti di bullismo o derisione.
11. inviare i bambini che presentano manifestazioni estreme di ansia, paura o collera allo psicologo della scuola e informare i genitori.
12. fornire agli alunni un modo per concretizzare il loro desiderio di rendersi utili (per es., inviando messaggi di solidarietà alle persone colpite dalla tragedia e messaggi di ringraziamento ai soccorritori delle vittime).
13. controllare e limitare la visione di scene drammatiche.
L’insegnante può identificare i bambini in difficoltà osservando se il loro comportamento è cambiato in seguito al disastro. Alcune manifestazioni di disagio, che possono comparire anche a distanza di settimane dall’inizio della catastrofe, sono le seguenti:
- il bambino lamenta qualche malessere per lui insolito;
- si isola;
- sembra avere un insolito bisogno di dominare, mettersi in mostra, distrarre i compagni;
- diventa chiuso e smette di intervenire;
- non guarda negli occhi;
- fatica a concentrarsi o a restare concentrato su un compito;
- è insolitamente energico, iperattivo, agisce in modo avventato e sconsiderato;
- presenta manifestazioni emotive: per es., piange o torna a comportamenti più infantili;
- non manifesta emozioni;
- il rendimento scolastico peggiora;
- tollera male i cambiamenti e fatica a passare al compito successivo;
- sembra apatico e letargico:
- trasale e si spaventa facilmente;
- altri cambiamenti di aspetto o di comportamento.
Attività di aiuto psicologico con la classe
Per l’organizzazione di attività di aiuto psicologico con classe, conviene avvalersi della consulenza di uno psicologo con una formazione specifica in psicologia delle situazioni di calamità. Gli interventi attuati negli Stati Uniti da questi esperti possono essere classificati in tre categorie:
- Discussione degli eventi connessi alla calamità. Si possono usare varie attività per promuovere l’espressione verbale e/o non verbale dell’esperienza, delle domande e delle preoccupazioni dei bambini, compreso il disegno, il racconto di storie, i burattini.
- Promozione di abilità positive di fronteggiamento e problem solving. I bambini vengono incoraggiati a sviluppare abilità di fronteggiamento e di soluzione di problemi nonché metodi per gestire le loro ansie adeguati alla loro età.
- Rafforzamento dell’amicizia e del sostengo dei coetanei. Spesso la calamità interrompe i legami familiari e le altre relazioni di sostegno sociale. Questo problema può essere affrontato aiutando i bambini a sviluppare relazioni di sostegno con gli insegnanti e i compagni di classe mediante attività in piccolo gruppo (per es., scrittura di lettere ad altri superstiti, creazione di poster e organizzazione di rituali commemorativi).
Esistono comunque varie attività che l’insegnante può organizzare e realizzare perlopiù autonomamente.
La Federal Emergency Management Agency riporta alcune attività consigliate da un’insegnante con una formazione specifica:
1. incoraggiate i bambini a disegnare o dipingere ciò che provano per le loro esperienze. Appendete le loro opere alla loro altezza, affinché le possano vedere facilmente.
2. scrivete una storia sull’evento che li ha spaventati. Potreste cominciare con: “Una volta ci fu un/una terribile ____________ che ci spaventò tutti quanti ___________. Ecco che cosa avvenne: ___________”. Finite sempre con una frase come “E ora siamo al sicuro”.
3. Giocare con la creta o con la pasta da modellare aiuta i bambini ad allentare la tensione e a comporre creazioni simboliche.
4. per i bambini la musica è divertente e preziosa. Creare della musica con strumenti o percussioni aiuta ad alleviare lo stress e la tensione.
5. fornire ai bambini vestiti, scarpe, cappelli e quant’altro possa servire loro per travestirsi e fingere di essere adulti responsabili delle operazioni di soccorso e di ripresa dal disastro e di “avere il controllo”.
6. preparate dei burattini con i bambini e allestite uno spettacolo per la famiglia e gli amici sulla loro esperienza della calamità, oppure aiutateli a organizzare una recita.
7. leggete storie sulle calamità ai e con i bambini. Una delle attività più note per il chiarimento e l’elaborazione delle emozioni provate durante o dopo una calamità è il defusing.
Attività di defusing nella classe
Il “defusing” (letteralmente “disinnescare”) è un procedimento utilizzato dagli psicologi per aiutare le vittime di un disastro e i loro soccorritori. Consiste nel sollecitare la ricostruzione approfondita del modo in cui il disastro è stato vissuto personalmente da ognuno dei partecipanti momento per momento, facilitando l’espressione dei pensieri e delle emozioni associate, in un clima di ascolto comprensivo, accettazione, conferma e condivisione dell’esperienza. Lo scopo è aiutare a: comprendere e a gestire le intense emozioni provate, identificare strategie di fronteggiamento efficaci e ricevere sostegno.
In seguito al terremoto di Loma Prieta del 1989, un gruppo di lavoro composto da insegnanti ed esperti di psicologia infantile della contea di Alameda ha messo a punto una serie di indicazioni su come aiutare gli alunni ad affrontare le conseguenze psicologiche di un disastro attraverso il defusing in classe.
Secondo gli autori, l’insegnante, dopo aver fronteggiato i propri comprensibili sentimenti di impotenza, paura e collera, dovrebbe cominciare inquadrando l’esperienza dei bambini nel suo contesto più generale. Per esempio, se c’è stato un terremoto, l’insegnante parlerà innanzitutto dei terremoti in generale spiegandone le caratteristiche, le cause, le dinamiche, le precauzioni da adottare e via dicendo.
Poi tratterà in modo specifico il terremoto vissuto dai bambini, cercando di renderlo un tema familiare, in modo che sia più facile per i bambini parlarne.
In questa fase si possono presentare disegni, fotografie o video dell’evento, che faciliteranno il passaggio al piano più personale.
A questo punto, per aiutare i bambini a descrivere la loro esperienza personale si possono proporre molte domande o temi. Ecco una traccia:
- Dove eravate quando è successo?
- Cosa stavate facendo?
- Dov’erano i vostri amici?
- Dov’era la vostra famiglia
- Qual è stata la prima cosa a cui avete pensato?
- Cosa avete pensato durante il/la ...?
- Cosa avete visto?
- Che cosa è cambiato da quel momento? (Ci si riferisce allo stile e alle condizioni di vita nei giorni immediatamente successivi e a più lungo termine)
- Cosa avete sentito? (uditivamente)
- Che rumore faceva? (Permette che i bambini facciano rumore, urlino o emettano versi)
- Che odori avete sentito?
- Dopo di che, cosa avete fatto?
- Come avete reagito?
- Cosa avete “perso”? (o “Cosa vi si è rotto, è andato distrutto, è stato rubato, ecc.?”)
- Come vi siete sentiti?
- Cosa hanno fatto le altre persone introno a voi (durante e dopo l’evento)?
- Qual è stata la cosa più sciocca che avete fatto?
- Qualcuno che conoscete si è fatto male? E voi?
- Cosa è successo agli animali? (compresi gli animali domestici)
- Che sogni avete fatto dopo l’evento? (Può essere interessante parlare sia dei sogni direttamente connessi all’evento sia sogni apparentemente scollegati)
- C’è qualcosa che vi fa tornare in mente questa esperienza? Quand’è che ci pensate?
- Che cos’è che fate diversamente da quando è accaduto il fatto?
- Come vi sentite ora? (per quanto riguarda i ricordi del disastro)
- Che cos’è che vi fa sentire meglio?
- Qualcuno che conoscete è morto nel disastro? (a questo proposito, non va dimenticato che lo scopo della procedura è aiutare i bambini a sentirsi meglio)
- In passato come avete fatto a uscire da altri momenti difficili?
- Se succedesse di nuovo, cosa fareste di diverso?
- Cosa avete fatto per aiutare le altre persone? Cosa fareste se ci fosse un’altra occasione?
A seconda del tipo di disastro, l’insegnante può ideare altre domande aperte adatte a far emergere tanti particolari del comportamento, dei pensieri e degli stati d’animo avuti durante il disastro. Queste domande possono essere spunto di discussioni e attività non verbali non solo nei giorni immediatamente successivi al disastro, ma anche a distanza di mesi o anni, dato che gli effetti psicologici di queste esperienze e la loro elaborazione possono durare molto a lungo.
Permettete ai bambini che faticano a esprimersi, timidi o in difficoltà di restare in silenzio ed eventualmente sollecitate l’aiuto dei compagni. Adattatevi al bambino: se ha difficoltà a parlare nella vostra lingua, trovate un modo per aiutarlo ad esprimersi nel modo per lui più agevole. L’espressione dell’esperienza personale dell’alunno, sollecitata con la proposta dei temi su elencati, può avvenire oralmente o con attività grafiche. A prescindere dalla modalità scelta, è importante che ogni volta la progressione dei temi trattati nella classe vada dal generale allo specifico e che ci sia alla fine un senso di “chiusura” dell’esperienza, facilitato da un momento di quiete e di riflessione degli alunni.
Defusing orale. Per quanto riguarda le attività orali, oltre a scambiare esperienze in piccoli gruppi o con la classe intera, i bambini possono essere invitati a raccontare una storia (anche metaforica), a farla raccontare o “vivere” a pupazzi o a organizzare una recita o un role-playing – a questo scopo è utile fornire materiale affinché i bambini possano travestirsi e fare la parte dei soccorritori. Nel corso di tali attività, per aumentarne l’utilità, l’insegnante si limiterà ad avere un ruolo di facilitazione e di guida, senza controllare lo scambio di esperienze o le storie. Inoltre avrà una particolare cura nel riconoscere verbalmente le loro esperienze – per esempio, riformulandone la descrizione – e nel trasmettere l’idea che si tratta di esperienze normali, comprensibili e giustificate in quel tipo di situazioni.
Alcuni bambini, per la loro personalità, mancanza di abitudine, motivi culturali, ragioni di riservatezza, sfiducia nel metodo o altri motivi, preferiscono non parlare apertamente dei loro sentimenti.
Naturalmente questa scelta o difficoltà va rispettata e accettata come valida, e forse questi alunni si troveranno più a loro agio con le attività di defusing grafico; anch’esse, comunque, verranno presentate come una possibilità di espressione e non un compito obbligatorio.
Defusing grafico. Le attività grafiche vengono presentate come un modo per “parlare”, ma silenziosamente, e come un mezzo di espressione usato da molti (si può anche notare che alcune persone si esprimono parlando, altre cantando, altre ballando e altre ancora disegnando). Le domande, o temi, sopra elencate possono essere usate come spunto per:
- illustrare/scrivere insieme un libro;
- scrivere un diario illustrato;
- fare un disegno collettivo – un murale. I murales raccontano una “storia collettiva”.
Favoriscono il lavoro di gruppo e alcuni bambini partecipano alla loro preparazione con maggior tranquillità rispetto ai lavori artistici individuali. Andrebbero completati poco alla volta, consentendo ogni giorno ai bambini di guardarli, commentarli e aggiungere qualcosa.
L’insegnante dovrebbe parteciparvi pochissimo e disegnare seguendo le indicazioni dei bambini. Inoltre dovrebbe assegnare al murale un posto speciale nell’aula, e diventare un punto di riferimento per le lezioni e i dibattiti in classe. Una volta completato può essere fotografato;
- creare immagini al computer;
- disegnare singoli aspetti dell’evento – persone, luoghi, attività, ecc. L’insegnante in questo caso suggerisce varie possibilità e non dà indicazioni specifiche. Invece di dire “Disegna un vigile del fuoco che sta aiutando qualcuno”, per esempio, può dire “disegna una persona che hai visto fare qualcosa di utile dopo che è avvenuto il ... (disastro)”;
- fare un collage. Si utilizza una domanda guida come: “Dove vi trovavate quando è avvenuto il ... (disastro)?”. Poi l’insegnante disegna o incolla l’immagine centrale e i bambini tagliano e incollano fotografie, immagini tratte da riviste, articoli, pezzi di stoffa e via dicendo attorno al tema centrale. A volte preferiscono disegnare direttamente sul supporto; vanno avvertiti che possono farlo, specialmente se non trovano nelle riviste ciò che vorrebbero incollare.
Quando si presenta un’attività grafica è importante spiegare chiaramente che l’obiettivo non è fare un disegno ben fatto ma un disegno che permetta di esprimersi. Deve essere ben chiaro che le loro opere non verranno giudicate, che non possono essere “giuste o sbagliate”, che non riceveranno un voto e – se il bambino preferisce – non verranno mostrati ad altri. Inoltre gli autori raccomandano di:
- permettere e rispettare diverse modalità espressive: alcuni bambini rappresentano oggetti distinguibili, altri fanno disegni astratti;
- permettere ai bambini di buttare via le loro opere, se vogliono farlo;
-permettere di usare varie tecniche (pastelli, pennarelli, matite e via dicendo. Gli autori sconsigliano invece la pittura);
- svolgere preferibilmente le attività con più di un adulto presente;
- esercitare il minor controllo possibile sull’attività.
Un elemento essenziale del metodo grafico di defusing è la discussione delle attività una volta completate.
Questa discussione può aiutare a conferire una connotazione di “chiusura” all’esperienza, aspetto molto importante del processo di espressione dei sentimenti. Chi vuole può parlare di ciò che ha fatto. Altri bambini preferiranno chiudere questa esperienza espressiva ascoltando gli altri.
Un segno di efficacia del defusing è che gli alunni si sentono meglio. Tuttavia l’effetto può anche essere un altro: quello di far emergere problemi o sentimenti prima inespressi; ciò può voler dire che diventano maggiormente visibili all’insegnante quei segni di sofferenza a cui si è fatto riferimento sopra (malesseri, paura di restare soli, preoccupazioni esagerate, ricordi o pensieri insistenti, manifestazioni emotive, chiusura, ecc.).
Note cautelative sulla sollecitazione dell’espressione di pensieri ed emozioni connesse alla calamità
A proposito del defusing in classe e del lavoro sulle emozioni dei bambini mi sembra che possano valere le stesse misure precauzionali utilizzate dagli psicologi in questo tipo di operazioni.
Bisogna essere cauti riguardo a qualunque domanda sui sentimenti. È importante evitare di far emergere il senso di vulnerabilità di un bambino fino al punto in cui esso provoca un’ansia eccessiva.
Poiché è difficile valutare la capacità di gestire l’ansia, è meglio procedere con cautela e cioè monitorare continuamente le reazioni del bambino mentre parla dei suoi sentimenti e continuare a valutare la necessità di riportare la sua attenzione al presente e alle azioni concrete che è necessario compiere per risolvere i problemi.
Se il bambino può tollerare di parlare dei sentimenti, cercate un modo di convalidare le preoccupazioni e le reazioni emotive comuni. “Depatologizzate” le sue reazioni: spiegate che si tratta di reazioni normali di fronte a eventi “anomali”, in modo da rassicurarlo. Il fatto di aiutare i bambini a comprendere il corso normale delle reazioni ai traumi, dando al contempo la possibilità di parlare degli stati d’animo e dei pensieri connessi al trauma, non consentirà loro necessariamente di raggiungere un senso di chiusura in relazione alla loro esperienza. Ciò nondimeno, può servire per fornire loro un maggior senso di controllo e prevenire gli effetti negativi legati alla riduzione delle reazioni emozionali o della dissociazione (vedi sopra). Ecco alcune domande utili a questo proposito:
- Qual è stato per te l’aspetto più difficile o più duro dell’evento?
- Come ti senti da quando è avvenuto ...
- Come ti senti adesso?
L’offerta di sostegno, rassicurazione e informazioni dovrebbe in realtà avvenire in tutto il processo di defusing. Il fatto di fornire sostegno attraverso un ascolto riflessivo, di dare informazioni e di offrire un aiuto pratico può aiutare il bambino a fronteggiare l’isolamento psicologico che spesso accompagna un’esperienza traumatica. La rassicurazione in merito alle reazioni normali all’evento può mitigare l’autobiasimo e la preoccupazione.
È importante valutare il sistema di sostegno del bambino per poter stabilire se è necessario un invio ai servizi. È anche importante sottolineare quanto il sostegno sociale sia prezioso per il processo di recupero.
Può essere utile aiutare i bambini a rievocare le strategie di fronteggiamento rivelatesi efficaci in passato. Conviene avere a disposizione un foglio con un elenco delle risorse di comunità destinate alle persone colpite dalla calamità, compresi i servizi sociali e di salute mentale. Possono rivelarsi utili le seguenti domande:
- Che cosa ti ha aiutato ad affrontare questa esperienza?
- C’è qualcuno con cui puoi parlare?
- Nei periodi particolarmente difficili, che cosa ti aiuta?
- In passato, quando ti sei trovato in difficoltà, che cosa ti è servito?
Nel corso della maggioranza dei defusing, i superstiti sono in grado di rivelare ricordi, pensieri e stati d’animo e di riflettere su di essi con una certa sofferenza ma con un senso sempre maggiore di comprensione e sollievo. Tuttavia, in un piccolo gruppo di persone, la rievocazione o la rivelazione delle esperienze connesse alla calamità può evocare reazioni intense di sofferenza emotiva, confusione mentale e/o disinibizione comportamentale (per es., scoppi di collera, idee di suicidio, attacchi di panico). Non è detto che queste reazioni sfavorevoli siano “causate dal” defusing; la loro occorrenza può essere imminente anche se, in parte, sono reazioni all’esperienza di defusing. Pertanto il defusing offre l’opportunità potenzialmente importante di identificare i bambini a rischio da segnalare ai servizi dopo averne parlato con i genitori.