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Lealtà familiari

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Un uomo di 30 anni venne da me su consiglio di un amico. Era scettico sul fatto di rivolgersi ad una psicologa, perché temeva che non lo avrebbe aiutato. Così giunse da me, dicendomi che non avrei potuto fare nulla per lui.

Mi disse che aveva fatto l'università a Pisa e che, dopo la laurea, aveva trovato lavoro ed era rimasto ad abitare lì. Veniva da una città distante 600 km e non tornava praticamente mai a casa. Vedeva di rado la propria famiglia. Aveva una fidanzata che andava a trovarlo una volta al mese. Si vedevano poco e questo rapporto a distanza lo stava "logorando". Recentemente aveva conosciuto un'altra donna che gli piaceva.
Ciò che lo consumava dentro, era il fatto che ci fosse una lealtà familiare da rispettare: sposare la donna con cui era fidanzato. Questo era un vincolo, non solo verso la propria ragazza, ma soprattutto verso la propria famiglia di origine e quella di lei.
Gli chiesi se amasse la propria fidanzata, se fosse disposto a condividere la propria vita con lei. Mi rispose di sentirsi confuso in proposito, ma che probabilmente, se le rispettive famiglie di origine non si fossero messe in mezzo, si sarebbe sentito autorizzato ad interrompere il rapporto.
Non era più innamorato. Voleva costruire un nuovo rapporto con la donna con la quale usciva.
Gli dissi che prima di tutto doveva parlare con la fidanzata, mettendola al corrente dei suoi sentimenti. Successivamente, avrebbe dovuto parlare con le famiglie, quella di lei e la sua, così invischiate nel loro rapporto di coppia. Si fece coraggio e mise al corrente tutti quanti. I suoi genitori non gli rivolsero la parola per un paio di mesi. Poi capirono e ripresero i rapporti col figlio.


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