Ansia che non passa
Una ragazza di 20 anni venne a trovarmi per problemi legati all'ansia. Per telefono le dissi che avrei voluto incontrarla insieme alla sua famiglia.
Al primo colloquio la ragazza, figlia unica, venne accompagnata dalla madre, una signora affabile e ben disposta sul fatto che la figlia avesse voluto rivolgersi ad una psicologa per cercare di risolvere la sua problematica.
Chiesi se potesse essere presente anche il padre all'incontro successivo ed entrambe, madre e figlia, mi risposero che lui avrebbe preferito rimanere fuori da questi colloqui e che non vedeva di buon occhio gli psicologi.
Così, agli incontri successivi io e la figlia cercammo di capire insieme da dove derivasse il suo stato ansioso, da quanto tempo andava avanti, ma soprattutto quali conseguenze avesse prodotto sulla sua vita.
Ben presto venne fuori che la ragazza aveva sviluppato tali sintomi ansiosi in seguito al fatto che la sua mamma aveva trovato un lavoro stagionale che la teneva alcune ore fuori casa e che lei trascorreva più tempo col padre, un uomo molto freddo, distaccato e ostile nei suoi confronti, che la disapprovava su ogni cosa lei facesse. La ragazza si sentiva bloccata ogni volta che era in presenza del padre. Con tale blocco sopraggiungeva anche l'ansia, che non riusciva più a gestire e che pian piano aveva pervaso ogni aspetto della sua vita. Così non riusciva più a sostenere gli esami universitari, ma soprattutto le creava disagio anche solo dover uscire di casa.
In uno degli incontri successivi feci tornare la madre, e insieme, io e la figlia, la mettemmo al corrente degli aspetti rivelatori messi in luce attraverso i colloqui.
Ancora una volta dissi loro che la presenza del padre in seduta sarebbe stata preziosa ed ancora una volta il padre fu irremovibile al riguardo.
Nel frattempo, la ragazza diceva di sentirsi più tranquilla per aver preso consapevolezza di certi suoi modi di leggere e percepire la realtà e del rapporto con suo padre, e si iscrisse ad un gruppo sulla gestione dell'ansia.